sabato 29 novembre 2008

La sfida

In Italia il voto è sempre più "mobile".
La competizione ha cambiato le regole sfidando i tabù; i partiti hanno perso contatto con il Paese reale. La democrazia ha bisogno di consenso, la competizione ha bisogno di stabilità, i partiti hanno bisogno di gambe solide, sulle quali far camminare idee e progetti.
E' tempo ormai che la politica si impegni per superare il dualismo machiavellico tra il "discorso della piazza" e il "discorso del palazzo", perché se partiti e società si rendono reciprocamente impermeabili, suona un campanello d'allarme per la democrazia tout-court.

Il nostro Paese oggi rivela inquietudini di varia natura e non percepisce più in modo nitido la traiettoria del proprio futuro.
I partiti tendono sempre più a strutturarsi secondo meccanismi di affiliazione, piuttosto che promuovere il confronto e la libera partecipazione dei cittadini.
Lo sforzo di generare anticorpi per una politica troppo mediatizzata e priva di ancoraggi duraturi con il territorio, va compiuto impiegando ogni lecita risorsa.

La sfida da raccogliere consiste nel contaminare la società politica con culture, saperi, interessi e valori che altrimenti rischiano di essere confinati in un sociale percepito un po’ asfittico e autosufficiente. C'è bisogno di donne e uomini più attenti e sensibili alle questioni sociali, più capaci di individuare i problemi veri della gente, più concreti, più disposti ad ascoltare gli altri, per intraprendere la strada che porta all'unità, alla compattezza interiore, che rende gli uomini atti a compiere imprese impossibili.

Un po’ come all'indomani della battaglia di Canne, quando i romani persero in un solo giorno un esercito di centomila soldati e Annibale sembrò avere in pugno il loro destino. Un solo uomo, anzi un giovane ventiquattrenne, Scipione, ebbe fiducia nel riscatto di Roma. Per quel solo uomo l'esercito si ricostruì e quella civiltà visse, per poi diventare un impero immortale.
Al contrario, la storia ci fornisce numerosi esempi di Nazioni e grandi civiltà, ad esempio quella dell'antica Grecia, di limitata longevità.
La ragione di queste morti premature è sempre la stessa: la mancanza di visionari luminosi, sognatori pragmatici, persone integre, che sono il sale della terra.
E ci vuole sale per la nostra insipida società.

venerdì 28 novembre 2008

Educazione alla libertà

Il consumo frenetico dell'effimero si sta tramutando in apatia e questa è sintomo di mancanza d'aspettative.
Penso che sia necessario recuperare il senso storico dell'esperienza, proponendo una forte educazione al senso delle priorità e della percezione di ciò che è veramente importante nella vita personale e sociale. Ancor di più, è necessaria l'educazione alla giustizia, di cui i giovani segnalano la carenza e reclamano l'applicazione. E, inevitabilmente, la "questione giustizia" conduce alla dimensione politica.

Non si vive contro qualcuno o indipendentemente da qualcuno. Proprio la competizione politica dovrebbe insegnare comportamenti ispirati all'altruismo e alla solidarietà, al gesto fatto al momento giusto, alla parola detta al momento giusto. E questo rompendo l'assedio del linguaggio povero, che va dall'umorismo scadente, ai proclami intrisi di decisionismo, all'aggressività arrogante. Insomma, si tratta di attivare quell'agire comunitario, che contribuisca a costruire la democrazia nella società civile.

La scuola deve rappresentare un grande percorso espressivo della democrazia. Compito della scuola deve essere la formazione dell'individuo, la promozione delle giovani generazioni, la costruzione della loro personalità sociale, l'educazione al lavoro secondo la concezione democratica del lavoro. Per questo è necessario contrastare la cultura della gerarchizzazione di ritorno, convincere che esercitare un determinato lavoro non vuol dire essere più di qualcun altro, ma semplicemente avere una posizione funzionalmente diversa.

Va corretta, anzi messa al bando, un’ostentata cultura del successo, figlia di un neo liberismo totalitario, rappresentato senza sosta dai mass media. Questo significa poter fare affidamento su un sistema scolastico che si dedichi maggiormente a chiarire ai giovani possibilità e prospettive, per mettere a frutto le loro doti, correggendo dannose dispersioni di risorse umane.

Sopratutto, la scuola non deve pensare che i giovani siano bottiglie da riempire. Forse un po’ tutti pensiamo che dobbiamo riempire di tante cose la nostra vita e quella degli altri. Invece, uno dei segreti del vivere è comprendere che noi e gli altri non siamo oggetti da riempire, ma lampade da accendere, convinti che la scelta educativa che va conquistata e riaffermata in ogni momento della nostra vita, è la scelta della libertà.

mercoledì 26 novembre 2008

La politica non è egoismo

La politica non è scienza del potere ma scienza dei bisogni.
Certi bisogni possono però essere distorti nelle risposte, oppure, se soddisfatti, non generano solidarietà. Allora la politica dovrebbe essere la più ragionevole delle convivenze. Certamente la politica non dovrebbe essere pensata secondo il "modello Penelope"; ovvero la politica inutile.
Questa che stiamo vivendo è la fase shakespeariana della Repubblica: molto rumore per nulla.

In un paese serio, preoccupato di costruire il proprio futuro, il lavoro del Governo dovrebbe cominciare, dove il precedente ha finito, ampliando, rinforzando, portando a termine ciò che è stato cominciato. Purtroppo, la realtà racconta di troppe leggi che non diventeranno mai tali e di altrettante puntualmente smantellate.
Sensibili mutamenti di rotta possono essere tollerati, ma quando l'unico obiettivo diventa la distruzione di tutto quanto in precedenza fatto, si assiste a un fare e disfare per cui, di fatto, la politica diventa inutile.

Non possiamo negare che stiamo vivendo un momento di grandi pericoli e opportunità. Aumentano anche le responsabilità che noi tutti siamo chiamati a sostenere.
Abbiamo acquisito una mentalità tecnica, che confina la morale nell'ambito soggettivo, mentre si avverte proprio il bisogno di una morale pubblica.
C'è troppo squilibrio tra capacità tecniche ed energia morale. Un vago moralismo che scivola nella sfera politico-partitica, è anzitutto una pretesa rivolta agli altri e troppo poco un dovere personale della nostra vita quotidiana.

Oggi si tenta di spiegare e giustificare questo stato di confusione generale, introducendo il concetto di "crisi delle ideologie". Intanto, nella confusione sono cresciute d’importanza certe aggregazioni, rappresentative di spezzoni di realtà di ecologismo, localismo, corporativismo e così via, capaci di divenire condizionanti, anche guadagnando qualche seggio in proprio. Tutto questo è indice della mancanza di una reale progettualità politica, che diventa mero e caotico smistamento d’istanze e interessi di parte, senza un vero disegno ma soggetto agli umori del mercato del consenso.

Per questo è assolutamente necessario tentare di ricostruire una teoria politica adatta ai tempi, capace di risvegliare una militanza civile sentita e attiva, evitando di fare esclusivamente ciò che egoisticamente conviene.

martedì 25 novembre 2008

Donne in prima fila

Michelle Bachelet, Presidente del Cile, sostiene: "Una Nazione, può diventare prospera senza perdere l'anima. Si può creare ricchezza senza contaminare l'acqua che beviamo o l'aria che respiriamo, si possono stimolare quelli che davanti avanzano, e allo stesso tempo si possono aiutare quelli che restano indietro.”

Alla politica, dobbiamo rivolgerci tutti con la coerenza di vita. I cittadini aspettano coerenza dai politici che hanno eletto: che siano fedeli al programma concordato, che si dedichino al bene comune, che siano onesti e oculati nell'amministrare le risorse finanziarie.
Facciamo in modo che il dibattito elettorale si svolga in condizioni di civiltà e di chiarezza, favorendo la necessità, di mettere gli elettori in condizione di comprendere meglio i problemi che attraversano la nostra società e le loro possibili soluzioni. Il rischio è che si cada in una girandola di polemiche stucchevoli, improduttive, che i cittadini non gradirebbero e non capirebbero.

Le donne sono pronte a conferire in politica chiarezza d’idee, naturale serietà, impegno caparbio e sincero, insomma buone referenze talvolta non apprezzate nella giusta misura, anzi fatte oggetto di una miope indifferenza se non addirittura di una stupida derisione. Le donne sono pronte a non spaventarsi del carattere oggi troppo pragmatico della politica, e s’impegnano a riportare valori e ideali che vanno oltre la concreta azione, sopra e oltre le convenienze personali.
Le donne vogliono impegnarsi a monitorare e contrastare il progressivo scivolare verso un sistema di oligarchie che hanno bisogno di governare su persone mediocri, che si baloccano con gli arrivismi e il piatto conformismo. E sappiamo che un certo tipo di devianza può diventare protagonismo; preoccupante protagonismo.
Le donne, ancora, vogliono una sana normalità che non degradi nella mediocrità, per questo vogliono dare il loro contributo alla costruzione di una teoria politica sistematica, di un progetto che assegni chiare priorità, significati e importanza specifica ai fattori che costituiscono la convivenza societaria.

Per fare questo si ha bisogno di riflessione, studio, elaborazione e cultura; di coinvolgimento di giovani e adulti, insomma di tante persone di buona volontà, impegnate nell'applicazione che riscatta dalla banalità e dal pettegolezzo. Il profeta Osea indicava come avvento dello Spirito la realizzazione della promessa che anche le donne avrebbero profetizzato. Confidiamo tutte in quest’annuncio.

lunedì 24 novembre 2008

Impegno: auspicio e requisito per la salvaguardia della democrazia.

"Non chiedetevi dove andremo a finire, perchè ci siamo già." - Ennio Flaiano

La democrazia è causa oppure effetto dello sviluppo?
Questa domanda ha attraversato il corso dei secoli, fino ad arrivare ai giorni nostri. Può sembrare banale chiedersi se sia l'economia a generare la democrazia oppure il contrario, ma è una questione più concreta di quanto non appaia. L'impostazione da preferire è quella socratico - aristotelica, secondo cui la democrazia è un pre-requisito dello sviluppo economico.

La democrazia è un bene fragile e non può essere dato per scontato in modo definitivo. La sua difesa non può essere delegata solo al ceto politico, perché una democrazia politica non è sostenibile se non si accompagna a una democrazia economica con la partecipazione vigile e attiva della società civile, dei cittadini, evitando un fiume carsico di discorsi, dibattiti, relazioni, conferenze o chiassosi cortei, rivelatisi a volte privi di veri contenuti ed evitando, altresì, quelle appaganti manie di protagonismo a tutti i costi, costi quel che costi.

Dobbiamo convincerci che la politica non è una dimensione facoltativa, non è una "cosa" tra le tante di cui non si è obbligati di occuparsi perché appare lontana, incomprensibile, parziale. Le democrazie senza rendersene conto, si avviano a situazioni pericolose, a occulte trasformazioni che le snaturano se non c'è un’incalzante partecipazione popolare. Le istituzioni non sono dei totem sacri, ma nemmeno un giocattolo con cui trastullarci fin tanto che non ci si annoia.

Anche con le candidature non si può giocare.
Non è positivo usarle come una medaglietta in più sulla divisa della popolarità. La caccia a nomi attraenti e noti ha senso se è una cosa seria. Non è una moda per vip di ogni taglia. La democrazia ha più bisogno di persone e programmi che di personaggi ed emozioni.
Si assiste a una concezione neo-prefettizia, tra la Roma antica e il Napoleonico, una sorta di spartizione neo-coloniale che si estende dagli enti locali ai collegi parlamentari. La democrazia è troppo importante perché se ne trascuri l'esercizio e il controllo, per permettere che qualcuno la deformi in gioco di potere e di spettacolo o anche, nei centri minori, di piccolo dispotismo mascherato con il paternalismo.

Compito preciso della politica dovrebbe essere la capacità di costruire una scienza della convivenza, per mettere in rapporto armonico e progettuale azioni comuni ed efficaci, vissuti, aspirazioni, pensieri. Si deve recuperare l'aspetto morale della politica che oggi è diventata occupazione di molti e vocazione di pochi. La politica non è una dimensione facoltativa ma è dentro lo statuto dell'esistenza umana.

Ritrovare il sorriso

Vale la pena di ricordare che l'attuale sistema bancario è nato nel Quattrocento sulla trasformazione dei Monti di Pietà, sorti come risposta a una crisi non meno grave dell'attuale: il morbo dell'usura. Anche la nascita del movimento cooperativo è stata originata da idealità, da passioni civili di persone che vedevano l'economia come un’occasione per costruire una società di persone più libere, uguali e solidali. Se l'economia perde il contatto con il terreno delle motivazioni alte, riducendosi alla pura ricerca di profitti, essa tende a implodere: è un’antica legge economica, ma spesso dimenticata.

L'imperativo categorico oggi è: "Si deve consumare di più".
E vien fatto chiedersi se sia pensabile, se sia conciliabile uno sviluppo che non comprometta le conquiste dell'Occidente, basato sul principio del consumo con le esigenze di un’ineludibile perequazione planetaria nello sfruttamento delle risorse disponibili.
Uno degli aspetti più clamorosi dell'insostenibilità del sistema di sviluppo attuale è la sua esagerata necessità di energia, che solo una cultura individualista spinta alla ricerca cieca del proprio interesse immediato, non consente di avvertire in tutta la sua drammaticità e verità. Troppi interessi sono sottesi per volere veramente un cambiamento di rotta. Non se ne dimostrano coscienti nemmeno i più raffinati amanti della natura, gente che non butterebbe per terra un pezzo di carta, ma con i propri fuoristrada ad altissimo consumo compromette proprio quella natura che tanto dice di amare.
Essere più sobri nei consumi, più oculati nelle scelte.
Questa è l'ovvia risposta.

Si potrebbe obiettare: come essere più sobri, senza compromettere lo sviluppo economico necessario tanto quanto un ambiente incontaminato?
Le risorse disponibili vanno più investite che consumate. E' un principio che vale per le aziende, ma anche per le famiglie. Certo non possiamo riferirci a chi tante risorse non le ha, ma a chi per paura del futuro o per altre motivazioni, preferisce tenere i soldi in banca per alimentare quella finanza speculativa che sembra offrire più profitti.
E questo anche per mancanza di riferimenti certi. Gli stessi mass media esaltano solo l'effimero. Non propongono l'utopia ingenua del bene, né l'istituto della speranza.

Una politica priva di futuro e di speranza diventa mera tecnica di sopravvivenza. Non serve continuare a rinfacciarci reciprocamente le colpe della situazione attuale, comprimendo il presente tra nostalgia del passato e vagheggiamenti d’improbabili futuri.
Mi è sempre di conforto questo pensiero di Aldo Moro: "Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente all'indomani migliore, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità; si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di essere creativi, di vivere il tempo che c’è dato con tutte le sue difficoltà".

Oggi, può sembrare paradossale, abbiamo sopratutto bisogno di ritrovare il sorriso e smettere questo continuo, corale lamento, che copre il pianto di chi è veramente legittimato a lamentarsi. Da una recente inchiesta risulta che noi italiani abbiamo conquistato, in Europa, la palma della tristezza e la portiamo ben alta. Dalla stessa inchiesta emerge che i nostri cugini spagnoli sono i più contenti e sicuri di se ed è stato loro assegnato il primato dell'intraprendenza, del successo e della gioia di vivere.

Anche noi abbiamo bisogno di riprendere uno spirito costruttivo, come se dovessimo rimettere in piedi il Paese dopo una guerra, tali e tante sono le sfide che ci sono lanciate. E' lo sguardo d'insieme il segreto. Mi viene in mente l'apologo dello Jainismo del VI secolo: vi sono sei ciechi. Ciascuno descrive un elefante per quella parte del corpo che ha potuto, tastando, individuare. Toccando l'orecchio, uno dice che è un ventaglio; toccando la zampa, un altro ritiene che si tratti di una colonna e così via. Le descrizioni sono si contraddittorie, ma si fanno vere non appena esse cessano di essere considerate separatamente l'una dall'altra. vale a dire sono ricondotte all'unità. E al senso dell'unità è il caso di impostare l'azione politica, nel segno di autentica, compiuta democrazia per riproporre lo sviluppo.

venerdì 21 novembre 2008

Per le donne / 2

Quale politica desiderano le donne? Come dovrebbe essere fatta?
A queste domande si potrebbero fornire risposte assai diverse. Sicuramente, noi donne sappiamo quale politica non vogliamo.
Non vogliamo una politica urlata. Una politica che segue unicamente il potere per il potere. Non vogliamo il confronto che scade nell'alterco e nelle offese personali. Lamentiamo la mancanza d’idee e programmi seri e concreti. Scatole vuote vendute da professionisti della comunicazione. Non apprezziamo chi si preoccupa solo di saper vendere meglio, magari il prodotto più scadente, interessato unicamente al risultato della vendita, cioè la conquista del potere. Non vogliamo una politica intesa solo come scienza dell'organizzazione del potere. Non vogliamo più tollerare, specie nella crisi attuale, il sistema chiuso: economia e politica.

Le recenti vicende che stanno interessando il sistema bancario e finanziario italiano, ci stanno dimostrando che l'inestricabile intreccio economia-partiti è solo un punto di arrivo di un unico processo secolare, che ha considerato la politica come il luogo esclusivo della gestione del potere, e l'economia come il luogo che doveva occuparsi solo di aumentare la ricchezza del Paese. In questa divisione è rimasto fuori l’elemento più importante: "la società civile", avendo costruito un mondo a due sole dimensioni, con gravissimo danno. In questo modo, infatti, la politica si allea con il mercato e da vita a un duopolio che tende a occupare tutti gli spazi della società.
Il cittadino è ridotto a elettore e consumatore, terreno di conquista del partito e dell'impresa di turno.
Sono convinta che la soluzione di questa crisi dovrà emergere da una nuova primavera della società civile.

Per le donne / 1

Coinvolgere di più le donne, accettare il loro contributo, dare loro le stesse opportunità, concedere spazi alla pari e non collocazioni residuali dovrebbe essere la vera sfida, per ogni buon partito che rispetti l'"altra metà del cielo".

Non facciamoci facili illusioni, non è vero che la partecipazione delle donne sia in progressione lineare dal tempo passato ad oggi. Il numero delle donne che in Occidente ha accesso al potere è ancora molto ridotto. Le donne Primo Ministro sono in numero inferiore alle regine o reggenti nel Medioevo. Sempre riferendoci a Mill, egli era convinto che la liberazione delle donne avrebbe portato grandi benefici alla sfera pubblica, incrementando in ampia misura la "quantità di talento individuale disponibile alla conduzione degli affari umani. Talento di cui non siamo certo così ben forniti da poterci permettere il lusso di rinunciare a una metà di ciò che la natura offre".
Gli individui, uomini e donne, sono formalmente uguali al momento di votare, ma sono e restano totalmente disuguali nella società, con diversissime capacità di influenzare, dirigere o rendersi protagonisti nel processo elettorale.

Non possiamo negare che le competizioni elettorali moderne non si combattono a pari livello e le spese elettorali sono aumentate vertiginosamente senza alcun controllo.
Si fa riferimento a sovvenzioni private per vincere le elezioni, ma la contropartita è l'assegnazione di redditizi appalti ai finanziatori o la collocazione di loro amici e familiari in posizioni di prestigio.
In questo modo il sistema dei partiti incontra grande difficoltà a restare immune da questi processi, spesso non riuscendo a sviluppare anticorpi sufficienti a resistere alla sdrucciolevole china che porta alla corruzione.

Più donne in politica significa anche più freno a questa china inarrestabile.
Ritengo che uscire dalla scleratizzazione del presente, prima ancora che una necessità "volgarmente" politica, sia una necessità che si caratterizza come fermento, inquietudine, proiezione verso un nuovo orizzonte della storia.
Rinunciare per principio adesso, in favore di idee già razionalmente cristallizzate, significa abbandonare il luogo in cui il futuro si fa avanti.

giovedì 20 novembre 2008

Prospettive

La democrazia ha molti nemici in agguato tra le quinte; politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole, ma il cui intento reale è tutt'altro: populista, di manipolazione mediatica, intollerante ed autoritario. Anche il capitalismo del consumo ha avuto forte impatto sulla natura della nostra democrazia.

Il modello improntato al "lavora e spendi", rende la nostra società forse più ricca in termini di comfort ma certamente più povera in termini di tempo disponibile. L'autoreferenzialità dell'individuo e della famiglia, l'aumento delle ore passate davanti al video e la dipendenza, in termini comportamentali, dalla televisione si sono combinati a produrre una straordinaria passività e disinteresse per la politica che, ove sopravvive, è diventata mediatica e della personalità, da vedere più che da vivere.

Lo stato di quiete nel quale è caduto l'uomo moderno è dovuto ad una mancanza di prospettive che determina una vera e propria disperazione.
Sosteneva F. Fergnani nel 1978 in Presentazione a J. P. Sartre: "l'uomo moderno è disperato perchè è solo, non dispone di ancoraggi sicuri, non può sperare e contare su niente in cielo e terra, che fondi totalmente la validità delle sue imprese e ne garantisca il compimento positivo".
Quella che stiamo vivendo è una società transizionale, caratterizzata da una forte tensione per affermare la soggettività individuale in un sistema sociale che diventa sempre più frammentario, impersonale e complesso. Ma le irruenze del soggettivismo tendono ad evadere, a cancellare problemi come quello della giustizia, del limite all'individualismo, della solidarietà.
In tutto questo si inserisce l'elemento della competitività.

Le società transizionali fanno crescere la competitività individuale, in assenza di progetti collettivi più forti. Il problema della giustizia allora si ripropone anche dal punto di vista dei comportamenti più spiccioli.
Il senso della vita viene offerto nel suo aspetto di rincorsa delle possibilità, delle opportunità che vanno conquistate non secondo giustizia e neanche secondo merito, ma secondo l'abilità di destreggiarsi all'interno della competizione.

Le fasi transizionali come quella che stiamo vivendo denotano anche una certa tendenza a segmentare i comportamenti stessi a seconda degli ambienti. Il comportamento è spezzato, si percepisce e si vive la realtà in isole, in zone circoscritte, tutto in una sorta di nomadismo che può trasformarsi in vagabondaggio, specie in politica.
Così, in assenza di obbiettivi sociali più forti e responsabilizzanti, riusciamo a vivere momenti di unità e coesione solo spinti dalla paura di imminenti catastrofi economiche, belliche, ecologiche, reali o immaginarie che siano.

E' di sicura attualità il pensiero di John Stuart Mill, vissuto nell'epoca vittoriana, il quale sosteneva che i cittadini " devono badarsi su ciò che sono capaci di fare in prima persona, separatamente o di concerto, piuttosto che su ciò che gli altri possono fare per loro".
In pratica dobbiamo sforzarci di essere attivi, critici e capaci di esprimere autonomia e autodisciplina. Mill aborriva chi "lascia al mondo o alla parte del mondo in cui vive il compito di scegliere in sua vece il progetto, che non ha bisogno di altre facoltà se non l'imitazione, la facoltà delle scimmie". Questo pensiero si attaglia perfettamente alla nostra società, basata com'è sulla sottomissione al consumo di massa e alla dilagante passività nella sfera pubblica.
Riconnettere la politica alla società, per superare un distacco che è percepito come un abisso; questo è il traguardo da raggiungere.

L'anima della democrazia

Oggi non si crede più nella politica perchè tutti la vedono ridotta a mero scontro di potere tra individui, potentati economici e militari, classi, partiti, popoli, gruppi religiosi.
Diciamo pure che essa è stata scientificamente pensata dai troppi sostenitori di una concezione conflittuale della natura umana. Non dimentichiamo l'"homo homini lupus" di Hobbes e i teorizzatori del "darwinismo sociale".
Impegnarci nel lodevole tentativo di rifondare la politica, significa prima di tutto prendere in considerazione l'uomo e poi il cittadino. Bisogna ripartire dall'uomo e riscoprirlo nella sua dimensione sacrale perchè la democrazia non basta se è solo tecniche e metodo; le occorre un anima per attingere a valori superiori proprio nell'interesse dell'uomo.

Bisogna creare una democrazia all'altezza del momento storico; una democrazia partecipata, di genere, economica e non solo politica, che esca dal palazzo ed entri nella cultura della gente: perchè la democrazia è un sistema politico mutevole e vulnerabile. Per rivitalizzarla, oggi, è indispensabile connettere rappresentanza e partecipazione, economia e politica, famiglia e istituzioni.
E' necessario inventare nuove forme e prassi che combinino la democrazia rappresentativa con quella partecipativa, affinchè riesca migliorata la qualità della prima con il contributo della seconda.

Ridefinire

Un proverbio slavo recita: " la neve cade non già per coprire tutte le cose, ma per consentire ad ogni animale di lasciare la sua impronta".
Il mio marchio è ispirato da profonde radici cristiane, per cui il propellente di tutta la mia attività politica è la costante attenzione a temi come la famiglia, l'eutanasia, la fecondazione assistita.

L'innegabile crisi odierna del "metodo" politico, rende necessario riesaminare lo stesso concetto di "politica". Affermare che la politica è "l'arte del governare, di reggere la cosa pubblica" ha dimostrato due carenze di fondo:
1) la predilezione per i gestori del potere, a cui si contrappone la crescente disattenzione per i cittadini, detentori di un ruolo marginale.
2) il rischio che lo scopo di governare diventi fine a se stesso.
La politica va allora ridefinita come "arte del bene comune", anzi " l'arte di vivere la cosa pubblica planetaria".
 

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